XVI SECOLO

“LA GHINA” ALIAS “IL CASINO DEL VESCOVO”

“Si può ritenere che l’edificio sia stato realizzato a metà del 1500 per volere di un vescovo (o cardinale).”

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Due toponimi.

“Ghina” e “Casino del Vescovo”: si può affermare che il termine “Ghina” sia riferito al fondo agricolo, come documentato da vari documenti scritti e da planimetrie, mentre con il termine “Casino del Vescovo” viene indicato il fabbricato che sorge sul fondo agricolo della “Ghina”; quest’ultimo toponimo deriva quasi sicuramente da un certo “Antonio Maria de Ghinis di Massa” citato in un atto notarile del 1543 quale fattore del Cardinal Morone.

Antica mappa di Massa Finalese

 
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Un cardinale controverso.

Figura assai importante e controversa della chiesa del XVI secolo, Giovanni Gerolamo Morone a quell'epoca era il Vescovo di Modena. Svolse varie missioni diplomatiche. Accusato di eresia durante il papato di Paolo IV Carafa, fu successivamente riabilitato ed in qualità di legato papale, presiedette le ultime sessioni del Concilio di Trento nel 1563. La nomina a cardinale nell’anno 1542 da parte del papa Paolo III nel concistoro del 2 giugno 1542 potrebbe giustificare la presenza di un cappello cardinalizio nella formella datata 1547.

Ritratto raffigurante il Cardinale Morone

“Il mistero permane. Recenti approfondimenti non hanno consentito di precisare la data esatta di costruzione, il committente e il progettista della villa.”

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Una casa padronale sobria.

Di sobrie linee architettoniche, chiaramente ascrivibili allo stile ferrarese, l'edificio si compone di un semplice corpo a pianta rettangolare, di solide proporzioni, che ingloba una torre strutturalmente indipendente, ma perfettamente integrata con i prospetti del casino. Lo scarno apparato decorativo esterno, limitato alla bella scala in cotto di linee svasate ed ai cornicioni a dente di sega dei prospetti laterali, si arricchisce sorprendentemente all' interno, negli ambienti di rappresentanza dell'unico piano destinato all' uso abitativo padronale.

Vista della villa dal giardino

 
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Paesaggi perduti.

Affiorano sotto successive ridipinture tracce di intonaco decorato, a motivi architettonici che incorniciano scene di paesaggi ormai perdute; i soffitti a finti cassettoni ed i camini di fattura settecentesca completano il corredo di finitura di quella che doveva essere una residenza agiata, forse commissionata da un prelato, come potrebbe far supporre una lapide in cotto murata in facciata, recante una data (1547) ed il sigillo arcipretoriale.

Busti e soffitti decorati

La realizzazione di un “Casino” lontano dalla sede vescovile si inquadra in quel fenomeno che, sviluppatosi sin dai primi anni del XVI secolo, produsse numerosi interventi finalizzati al “vivere in villa

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“Vivere in villa”.

In questo processo il territorio emiliano seguì di poco quello toscano ed anticipò quello veneto. Secondo la moda del tempo, il nobile o, come nel nostro caso, il prelato passava giorni o interi periodi in villa, impegnato in conversazioni erudite, citazioni di poemi cavallereschi (scene ispirate a tal genere sono presenti nella stanza mediana ovest) e/o nell’esercizio del controllo diretto dei possedimenti.

Dettagli dell’affresco nella sala ovest